Recensione di “Fight club 2 – Chuck Palahniuk”:
Dopo vent’anni dall’uscita del romanzo culto Fight Club, divenuto un bestseller soprattutto in seguito al riadattamento per il grande schermo nell’omonimo film diretto da David Fincher e intepretato da Brad Pitt, il suo autore, Chuck Palahniuk, ne scrive il seguito e si reinventa raccontandolo sotto forma di fumetti. Palahniuk ha detto di avere scelto di scrivere il sequel di Fight Club in forma di fumetto perché non voleva “rovinare” né il libro né il film precedenti. Disegnato dalla mano di Cameron Stewart, uno dei disegnatori più riconosciuti al mondo, il volume edito in Italia da BAO Publishing (280 pagine, 25 euro) è disponibile in tutte le librerie dal 6 ottobre 2016. Negli USA il fumetto è stato suddiviso in una serie di 10 capitoli usciti a partire da maggio dell’anno scorso mentre in Italia si è deciso di pubblicarlo in un unico volume.
Fight Club 2 segue le vicende dello stesso anonimo narratore del primo romanzo che qui si fa chiamare Sebastian. Circa 10 anni dopo le vicende di Fight Club, il protagonista è sposato con Marla Singer, conosciuta già nel primo romanzo durante un gruppo d’ascolto per persone affette da malattie incurabili – il personaggio nel film è interpretato dall’attrice Helena Bonham Carter -, e insieme hanno un figlio piccolo che costruisce bombe fatte in casa. Sebastian ha smesso di frequentare il circolo di lottatori clandestini da parecchi anni. Ma quando Marla comincia ad avere nostalgia del sovversivo alter ego del protagonista, Tyler Durden, decide di ritoccare i dosaggi dei farmaci del marito facendo succedere qualcosa di irreparabile.
Questa graphic novel riprende le stesse tematiche del romanzo: la violenza, il nichilismo, lo sdoppiamento della personalità, la critica al consumismo e all’ideale classico di mascolinità. Il tutto viene rappresentato con uno stile caotico e disorganizzato che rispecchia la precaria salute mentale del protagonista.
Oltre a offrire la prosecuzione della storia, il fumetto indaga su quello che è stato il fenomeno Fight Club, in un gioco meta-narrativo che coinvolge Palahniuk stesso come personaggio, al pari di Sebastian e Tyler. Ad un certo punto della storia infatti vediamo apparire lo stesso Palahniuk (assieme al suo team creativo) che cerca di trovare i giusti snodi narrativi, le motivazioni adatte ai personaggi, persino un degno finale per questo atteso seguito. Mentre alcuni protagonisti lo assillano con delle telefonate, lo scrittore si dimostra sempre più vittima di se stesso, asserragliato da questo maledetto sequel, sempre più in balia di una sfida chiamata scrittura. Ad un certo punto il fumetto sembra ritorcersi contro il suo creatore e trasformarsi in un fantasma che lo disturba.
Una scelta, questa, funzionale a una riflessione profonda sul ruolo dell’autore nelle proprie storie, e su come i personaggi migliori non solo gli sopravvivono, ma si staccano da lui, diventano reali pur non esistendo nella realtà. Fight Club 2 non è quindi un tentativo di guadagnare ulteriormente su un grandissimo successo come hanno sostenuto superficialmente molti critici, bensì un “esperimento” da parte dell’autore per cercare, per quanto possibile, di riappropriarsi della propria opera.