Recensione di “Bestie da Vittoria”:
Da piccolo sognava una bici d’oro, poi 16 anni di menzogne “noi siamo bestie. Non mi pento, senza aiuti non avrei mai vinto”
“Bestie da vittoria” di Danilo del Luca edito da Piemme è un libro denuncia o meglio che svela quello che noi non potremmo mai capire, e che solo da un ex-campione che non ha più niente da perdere ci può raccontare.
Ci illustra dell’altra faccia del ciclismo, di un mondo fatto di falsità e potere che va oltre l’apparenza festosa delle grandi manifestazioni ciclistiche.
“Il ciclismo di oggi non è più lo sport che ho amato. Sono stanco della solitudine, della menzogna di nascondermi. Nel ciclismo tutti sanno la verità, ma la verità è inaccettabile. Quando i direttori sportivi dicono “non so niente”, mentono. L’ambiente non ti obbliga a doparti, ti sollecita, il campione crea un indotto che dà da mangiare a un sacco di famiglie”
A 8 anni Danilo sognava una bici d’oro, entrato con il tempo nel circuito agonistico, si fa trascinare in un mondo che ti sollecita alla falsità e all’inganno, alla rincorsa alla vittoria costi quello che costi. Nessusi rende conto dei sacrifici, delle fatiche, del dolore provato dopo una tappa di 250 chilometri; delle malattie che ne conseguono.
“Per voi è un racconto inquietante, per un ciclista fa parte del mestiere, della normale preparazione. Ci sono sostanze lecite e illecite. In uno sport di durata, l’Epo fa la differenza. Vinci se ti curi meglio degli altri. Le squadre? Se vieni trovato positivo fingono di non conoscerti più. Ma chi viene beccato è perché sbaglia i tempi, si sa esattamente quanto tempo deve passare prima di un controllo”
288 pagine che iniziano come un incubo, un viaggio all’ inferno, un libro che racconta la sua carriera e il suo rapporto con il doping. L’autore abruzzese racconta il suo inizio con questa pratica nel 2001; la paragona ad una necessità, che si crea nella mente dello sportivo vincente, cioè indispensabile per riuscire meglio degli altri, se pur illegale, ma di cui tutti sono a conoscenza. Di Luca vinse il Giro nel 2007 e nel 2013 è stato il primo italiano radiato per doping a causa dell’ormone EPO. Racconta di buste di sangue nelle borse frigo o nascoste nei corridoi degli alberghi. Scrive che la sua carriera ormai non era fatta più di passione, ma solo smania di denaro, aveva perso tutto. Nelle sue parole, non ce rimorso. Non ci sono accuse. Sostiene che tu quello che ha fatto, lo ha fatto consapevolmente per arrivare primo.
«Il doping non dà dipendenza ma è uno strumento di potere: chi vince porta soldi. A se stesso, alla squadra, agli sponsor»
Adesso Di Luca fa il costruttore di biciclette, chissà che quel desiderio di bambino di avere una “bici d’oro” un giorno non si realizzi proprio attraverso le sue mani.