Recensione di “La mia rivoluzione: L’autobiografia – Johan Cruyff”:
Il 6 ottobre 2016, edito da Bompiani nella collana Overlook, è uscito il libro postumo intitolato “La mia rivoluzione”, l’autobiografia ufficiale di Johan Cruyff a circa sei mesi dalla sua morte avvenuta per tumore ai polmoni. Johan Cruijff è considerato uno dei migliori giocatori della storia del calcio. Tra i vari soprannomi che gli sono stati affibbiati durante la sua carriera di calciatore, ci sono “il Pelé bianco”, coniato dal giornalista Gianni Brera, e“il profeta del gol”. Tra i riconoscimenti più importanti ricordiamo la sua elezione a Pallone d’oro per tre volte, nel 1971, 1973 e 1974. È inoltre uno dei pochissimi ad aver vinto la Coppa dei Campioni sia da giocatore che da allenatore.
Cruyff fu l’interprete più emblematico del “calcio totale” con cui l’Ajax e i Paesi Bassi di Rinus Michels rivoluzionarono la storia del calcio tra la seconda metà degli anni 1960 e la prima metà degli anni 1970. Il “calcio totale” implica che ogni giocatore può essere sostituito da un altro senza che questo causi un problema con la struttura tattica del gioco di squadra. Ogni giocatore, quindi, deve saper giocare qualsiasi ruolo. Con la nuova tattica l’Ajax stravince ma quando Cruyff diventa capitano della nazionale olandese inscrive per sempre il suo nome nella storia del calcio.
Considerato come uno delle figure più influenti della storia del calcio, lo stile di gioco e la filosofia calcistica di Johan Cruyff hanno notevolmente contribuito all’affermazione di numerosi manager e giocatori, tra cui Pep Guardiola, Arsène Wenger, Eric Cantona e Xavi.
Johan non ha mai abbandonato la sua maglia numero 14 ed in occasione del suo sessantesimo compleanno, l’Ajax la ritirò ufficialmente. Tale numero gli fu consentito anche nella Nazionale dei Paesi Bassi, ma non nel Barcellona poiché la Federazione spagnola, che all’epoca prevedeva per le maglie dei giocatori titolari la numerazione dall’1 all’11, gli negò la deroga: Cruyff scelse quindi il n. 9, ma sotto la maglia azulgrana ne indossava sempre un’altra con il suo 14.
“Tutto ciò che so, l’ho appreso dall’esperienza. Tutto ciò che ho fatto, l’ho affrontato con uno sguardo rivolto al futuro, con un’attenzione al progresso. Al passato non penso troppo; è il mio modo naturale di essere” così ha inizio il libro in cui Cruyff si racconta: a partire dalla non benestante famiglia di origine, passando per i primi calci dati al pallone con i bambini del quartiere, le prime vittorie con l’Ajax già a 14 anni, il matrimonio con Danny fino ai suoi ruoli da dirigente. Ma appunto, il passato non lo interessa molto e talvolta troviamo lunghi nonsense dove, come già da lui stesso preannunciato, la memoria non è così vivida. Non si parla invece della sua malattia e non è chiaro se fosse al corrente dello stato del tumore mentre scriveva il libro.
Il Financial Times ne dà un giudizio negativo affermando che poteva essere fatto di più in questa autobiografia, per lasciare un monumento più significativo alla memoria di Cruyff.